Lettore

giovedì 21 agosto 2014

Tu sei pazzo

Quel pomeriggio d'estate l'avrei passato tranquillamente a casa da solo, sul tavolino il mio scotch whisky preferito.
Gradivo per un giorno isolare la mente dal vociare fastidioso, non volevo saperne di rimanere imbottigliato nel traffico del centro cittadino, tra urla di anziani che non riescono a crearsi un varco tra i serpenti di metallo e le moto che passano alla destra come si fossero scordati che l'Inghilterra è chilometri distante.
L'idea è quella di un sottofondo con musica da relax di Mind Maze e la mitica bottiglia di bourbon, perfetto ingrediente e scelta saggia la mia.
Chiudo gli scuri per non lasciare entrare nemmeno un grado di quei trenta tre che ci sono all'esterno, cuffie a portata d'orecchio, sdraiato come nei film di Fantozzi e cellulare ben in vista.
Immagino il caldo estivo all'esterno e le persone nei bus, tra folate d'ascella e spintoni per un posto a sedere. Io l'ho a portata di mano e sembro il principe dell'ozio del dolce far nulla, un fankazzista si dice ora nello slang dei giovani. A proposito, io non sono poi così anziano, nemmeno un neo patentato però. Mi lascio andare alla musica, quella chillout in particolare mi fa viaggiare in una serenità straordinaria.
Quando sono rilassato e col climatizzatore acceso, passano le ore, arrivo persino ad addormentarmi, poi l'impellente bisogno di andare al bagno... merito del whisky. Cammino a tentoni e mi viene in mente una frase del grande Bukowski: “Se non hai la birra puoi sempre trovare del vino o del whisky o delle sigarette, ma se non hai amore non hai un cazzo”. Sorrido cerco di centrare il water e non la ciambella, cambio idea... mi siedo. Ho un'andatura lenta, come per non consumare quel poco ossigeno che ho nella stanza, mi siedo e guardo il cellulare, tre chiamate perse, tutte dallo stesso numero, quello di Gherard il mio amico. Lo chiamo e si sbellica dal ridere nel sentire la mia voce, mi lascia parlare perché teme che poi non riesca a finire la frase, poi aggiunge: “Organizzo per stasera una cena a base di carne, siamo in sei con te, quindi svegliati ed esci dal guscio”. Posso rispondere negativamente, la risposta però è si, sono a casa da solo e mi fa solamente bene stare in compagnia. “ Scusa siamo in sei va bene, tutti uomini o posso sperare nella buona sorte!”. “Io e te con quattro donne, due le conosci Francesca e Ilaria, le altre due sono loro amiche, persone simpatiche mi hanno detto. Lavorano in un posto particolare, un centro di cura mentale, quindi sanno da svagà”, con puro accento romano. Ecco... penso dentro me, farmi trovare in quelle condizione è spettacolare. “Scusa, so che siamo a casa tua, potresti però passare a prendermi, te lo chiedo come favore”. Gherard è letteralmente piegato in due dalle risate, ma accetta perché mi conosce, sa che finirei l'album delle figurine coi punti dei carabinieri.
Felice, euforico, stordito, ma persisto col mio whisky.
Il mio amico deve passarmi a prendere alle otto, due ragazze arrivano a casa sua prima, per preparare la cena e le amiche intorno alle nove. Whisky e caldo sono deleteri, poi se esci per le scale, il caldo è maggiore e lo stordimento è completo, appunto. Gherard mi fa uno squillo, come segnale che lui è sotto, mi vesto a tempo di record, pantaloni chiari camicia blu borsello in eco pelle, dentro tutto il possibile e le chiavi di casa, attaccate alla mano.
Ovviamente ascensore, subito mi crea un vuoto come se l'anima mi restasse al terzo piano e lo stomaco scendesse al primo, si apre e vado a sinistra, a destra c'è il muro, non mi posso quindi sbagliare. Esco e Gherard secondo me, ride ancora da quando era al telefono, si mette una mano alla fronte e mi dice: “Sei sicuro di voler venire vero?”, una grossa pernacchia e faccio segno con la mano di guidare.
Arrivati a casa sua ho quasi un mancamento, sarà il chiuso o la reazione, mi siedo, quel tanto che basta per riprendermi. Passa una buona mezz'ora e con frase allegorica come per altro lo era stato tutto il pomeriggio, dico “Sto meglio” . Nessuno ci crede, neppure Francesca e Ilaria, poi la prova del nove alle nove di sera, suonano le due ragazze, rispondo... io “shhhii, venite pure siamo qui”, inizio poco felice. Arrivano al piano, entrano e facciamo conoscenza, si chiamano tutte e due con lo stesso cazzo di nome, Gloria, “piacere Franco” dico io.
Partiamo con l'aperitivo... non cambia molto visto il mio stato
Sembrano simpatiche, una guarda in modo strano, tra curiosità e desiderio di capire, forse mi vorrebbe come suo paziente, ma io sono sbronzo, non mentalmente instabile, anzi gioco su questo, ho deciso per la follia.
Lei è alta un metro e settanta, viso pieno, mora capelli lunghi e una bella parlantina, ho tralasciato il culo, perché non voglio essere pure un maniaco, cosa che lei pensa subito... ha notato dove ho buttato l'occhio. “Cosa posso fare se il mio sguardo è finito li”, dico ad alta voce, facendo la parte del perfetto beota, divertita perché ad un apprezzamento ci si tiene sempre, a suo agio vista l'abitudine ad assecondare per lavoro.
Mi diverte e posso dire che gli altri passano in secondo piano, non sta bene lo so pure io, quindi accenno a un colloquio pure con loro. Lei guarda. Sarò un caso clinico penso.
Per rompere l'imbarazzo chiedo un brindisi, alle cuoche, al mio amico, alle amiche e all'ottimo vino che si beve d'un fiato, poi me ne esco con una frase ancora del mitico Charles: “È quando si nascondono le cose che poi si muore soffocati”. Nessuno mi capisce, solo Gloria e Gloria abituate alle menti folli. Io guardo Gloria di un metro e settanta e le sussurro, “Capito?”.
La cena è ottima, anche se io non mangio più di tanto, ma apprezzo. Mi alzo per andare al bagno chiedendo scusa, torno a mettermi a sedere nel water per essere più saldo e avere un briciolo di mira. Esco sul grandissimo terrazzo dell'attico un momento per respirare, si sta bene, sono di spalle quando sento i seni che si appoggiano alla schiena e un braccio spunta all'altezza del viso, la sua voce che dice: “Ho portato del prosecco per brindare alla nostra follia, sai... la riconosco”, un sorriso, mi gira e sento la sua lingua saldata alla mia, la mano libera dal bicchiere slacciare la patta dei pantaloni e lei che continua a parlare “Questa è una dolce pazzia e come tale va curata”.
Potrei continuare il racconto ma come direbbe Freud: “Scherzando, si può dire di tutto, anche la verità.

Sereno Notturno

Racconto breve


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